Una recente pronuncia della Cassazione (Ordinanza n. 11130/2021) ha chiarito che la TARI deve essere versata a fronte della mera disponibilità del bene. Secondo la Cassazione civile, quindi, il tributo scatta anche se il bene è inutilizzato, ciò a patto che il servizio di smaltimento rifiuti sia stato istituito e sia utilizzabile il relativo servizio di raccolta rifiuti.
La TARI, difatti, è un’imposta caratterizzata dalla struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, che è dovuta in relazione all’espletamento da parte dell’ente di un servizio nei confronti della collettività.
Pur spettando all’amministrazione provare la fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare di una riduzione della superficie tassabile o addirittura l’esenzione.
Ciò, in quanto, l’esenzione e/o la riduzione costituiscono una eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di quanti occupano o detengono immobili nel territorio comunale.
Questo è il principio della pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione VI-5 Civile, di cui all’ordinanza 28 gennaio-28 aprile 2021, n. 11130.
Detta pronuncia nasce da un avviso di pagamento, emesso da un Comune della Provincia di Roma, a carico di una società per saldo T.A.R.I. relativa all’anno 2015.
L’avviso veniva impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che respingeva il ricorso, mentre la Commissione Tributaria regionale accoglieva il gravame richiamando il regolamento comunale in materia di TARI, che prevedeva il non assoggettamento al tributo per aree e locali inidonei a produrre rifiuti.
La Commissione Tributaria Regionale rilevava infatti che la contribuente aveva dato prova di non produrre rifiuti nel proprio stabilimento, per cui nulla era dovuto a titolo di TARI.
La sentenza veniva quindi impugnata, dall’Ente titolare del Tributo con due motivi di ricorso:
- il primo motivo lamentava il contrasto tra la decisione della CTR e il principio fondante la legge istitutiva della TARI, in forza del quale il presupposto del tributo è il mero possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o aree scoperte, suscettibili di produrre rifiuti urbani, indipendentemente dalla loro produzione effettiva;
- il secondo motivo, invece, lamentava che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, fra i casi di esenzione riportati dal regolamento comunale non vi fosse la tipologia di locale utilizzato dalla società.
La Cassazione ha reputato fondato il primo motivo di ricorso, dichiarando per l’effetto assorbito il secondo.
Chiariva in proposito la Cassazione che, dal 1° gennaio 2014, la TARI rappresenta il nuovo acronimo coniato in sostituzione dei preesistenti tributi comunali (TARSU, TIA e TARES), dovuti da privati, enti ed imprese a titolo di pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti e dei quali ha conservato la stessa natura tributaria.
Ai sensi della L. n. 147/2013 l’imposta è dovuta in forza della sola disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e quindi per il solo fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti.
Per eventuali deroghe, esenzioni e/o riduzioni tariffarie non è sufficiente che ricorrano le previste situazioni fattuali, ma è onere del contribuente dedurre e provare i relativi presupposti.
Quindi, ai sensi del D. Lgs. n. 507/1993, la debenza del tributo scatta in base alla mera istituzione del servizio di raccolta rifiuti, mentre resta irrilevante il dato soggettivo della sua mancata utilizzazione da parte dell’utente.
L’imposta, difatti, si fonda esclusivamente sui due presupposti impositivi del possesso di immobili (in base alla loro natura e valore) e dell’erogazione e fruizione di servizi comunali.
Avv. Antonio Martinoli
Iscritto presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma