Su tale circostanza è intervenuta la Suprema Corte rimarcando la struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione.
Con l’ordinanza, numero 11130 del 28 aprile 2021, pronunciata dalla sesta sezione civile della Corte di Cassazione si è fatta luce circa il contrasto interpretativo riguardo il principio ispiratore della Tari.
I dubbi sorgevano tra la necessità di un reale e concreto utilizzo dell’immobile, anche in maniera discontinua nel tempo, ovvero la sola detenzione e/o possesso, a qualsiasi titolo, di locali o di aree scoperte purché suscettibili di produrre rifiuti urbani.
Sul punto pare necessario precisare che, i casi di esenzione dal versamento della Tari, sono isolati e specifici e si riferiscono a situazioni in cui non sia possibile nemmeno potenzialmente produrre rifiuti.
Come ben noto, inoltre, la Tari ha sostituito, con decorrenza dal 1° gennaio 2014, i preesistenti tributi (TARSU, TARES, TIA) dovuti ai Comuni dai cittadini, quale corrispettivo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, conservandone la medesima natura tributaria.
Anche per tale ordine di ragioni appare logico ritenere che l’imposta sia dovuta unicamente per il solo fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti.
È bene precisare che tutte le deroghe, esenzioni e/o riduzioni che siano, non operano in via automatica ma è preciso onere del contribuente dedurre e provare i relativi presupposti attraverso la dichiarazione e/o denuncia TARI da presentare al Comune.
La legittimità della TARI, secondo la disciplina di cui al D.lgs. n. 507 del 1993, come chiarito dai Giudici della Corte di Cassazione “sussiste ogni qualvolta ricorra il presupposto oggettivo dell’avvenuta istituzione del servizio di raccolta dei rifiuti, restando irrilevante il dato soggettivo della mancata utilizzazione da parte dell’utente. Essa è infatti fondata sui due presupposti impositivi del possesso di immobili, collegato alla loro natura e al loro valore, e dell’erogazione e fruizione di servizi comunali“.
Inoltre, come più volte evidenziato dalla ARERA, la Tari ha il primario scopo di coprire interamente i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti cristallizzati nel Piano Economico Finanziario, che è il documento preposto per la determinazione della tariffa, completamente recettivo dei principi di cui alla Dir. n. 2008/98/CEE che possono essere riassunti nella affermazione “chi inquina paga“.
Plurime pronunce, anche recenti – Cass. n. 18022 del 2013; n. 14541 del 2015; n. 1963 e n. 11451 del 2018; n. 26183 del 2019 -, hanno evidenziato come, i criteri di ripartizione del servizio di smaltimento dei rifiuti, non siano direttamente collegati al concreto utilizzo dei beni ma, bensì, alla sola loro astratta e potenziale fruizione desunta da indici meramente presuntivi quali l’occupazione e la detenzione di locali ed aree anche scoperte.
Il legislatore, nel corso degli anni, ha plasmato la rigidità di tale criterio impositivo introducendo varie ipotesi di esclusione e/o di riduzione. Alcune di esse sono obbligatorie e fissate per legge mentre altre, facoltative, spettanti solo alla potestà regolamentare dell’Ente.
Tale pronuncia ha chiarito come il contribuente è chiamato a versare la TARI non a seguito di una prestazione fornita dall’ente al singolo ma, bensì, in relazione all’espletamento, da parte dell’ente stesso, di un servizio nei confronti della collettività che da ciò trae vantaggio e beneficio.
Proprio per tale ragione TARI, come chiarito anche dalla Corte Costituzionale oltre che dall’ordinanza sopra richiamate, è caratterizzata da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione.
I Comuni, difatti, sono obbligati ad istituire e gestire il servizio di RSU, ed i cittadini sono tenuti al pagamento dei relativi prelievi non potendo ovviare a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi.
Ciò in quanto la legge non dà alcun rilievo alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio.
Concludendo, oltre ai casi segnalati dal legislatore, non sussiste alcuna eventualità di esenzione dal pagamento della TARI neanche nel caso di inutilizzo dei locali posseduti – ad esempio per assenza di mobili, utenze e/o forniture – unica eccezione è che vi sia una specifica esenzione frutto della facoltativa potestà regolamentare del singolo Ente Locale.
Chiaramente il contribuente per poter beneficiare di tali esenzioni e/o riduzioni dovrà rispettare tassativamente e puntualmente tutte le procedure previste dal regolamento dell’Ente Locale.
Avv. Antonio Martinoli
Iscritto presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma